Fontana, Jorn, Lam, Crippa, Scanavino, Capogrossi, Luzzati, Cardazzo, Quasimodo operanti ad Albisola tra gli anni ’50 e ’70. Come tanti di loro Fontana è arrivato da lontano e non se n’è più distaccato. Nato in Argentina da genitori italiani, alla fine degli anni ’20 in Italia reagisce precocemente all’accademismo scolastico con un nuovo personalissimo linguaggio, permeato di plasticismo materico.
Ad Albisola dal ’36 presso la Fornace Mazzotti, che con Tullio aveva improntato il Secondo Futurismo, inizia a creare in ceramica con continuità: l’argilla gli è congeniale, può pizzicarla, scavarla, plasmarla, conquistato dal colore degli smalti e dai lustri. Ne nascono opere al limite del figurativo, quasi primitive, barocche e cromaticamente rutilanti. Parallelamente dà vita ad un mondo immaginario in materiale refrattario: coccodrilli, fondi marini, tartarughe che lasciati poi nel giardino della Fabbrica Mazzotti, mescolati alla vegetazione, ritornano terra, secondo un principio naturale di creazione e distruzione. Questa costante ricerca del punto di partenza, della materia organica che si autocrea, lo porterà, negli anni ’60, alle Nature, grandi masse sferoidali irregolari, con rigonfiamenti e cavità, che orneranno la Passeggiata degli Artisti come noncuranti sedili. Ma alla fine degli anni ’30 Fontana riassume anche quel senso di incertezza e crisi che attraversa il mondo artistico -e tutte le avanguardie- ed esistenziale.
Dopo il lungo soggiorno in Argentina, dove compila il Manifiesto blanco in cui prospetta nuove possibilità per l’arte con l’uso di mezzi insoliti -neon, luce, televisione- nel ’47 rientra in Italia e ad Albisola. Sottoscrive i Manifesti dello Spazialismo: nella Galleria milanese “Il Naviglio” di Cardazzo nasce il I Ambiente Spaziale, con liquidi fluorescenti e luce di Wood. Questo primo esperimento di arte applicata all’architettura d’insieme si tradurrà negli anni seguenti nella dimostrazione al neon della Triennale, nei Soffitti del Kursaal Margherita di Varazze e della Fiera di Milano, e, nel ’66, nella
saletta ovale della XXXIII Biennale di Venezia. Nello studio di Pozzo Garitta, dove nel ’54 con la consueta generosità ospiterà Asger Jorn , inizia a forare la tela, non più una superficie ma una materia in cui l’artista, compenetrando gesto ed opera, ricerca la terza dimensione. Nascono così i Concetti Spaziali e le Ceramiche Spaziali e, nel ’54, i quadri con i Tagli.
In un clima magico, ricco di prospettive, nonostante le ristrettezze economiche, gli artisti frequentano i forni e gli studi di Pozzo Garitta o Via Isola. Le estati trascorrono in un fervore fecondo, tra mostre all’aperto, che consentono ai cittadini di respirare arte e poesia, e incontri al Bar Testa, con Tullio Mazzotti patriarca e Fontana maestro di vita e d’arte, nelle trattorie o nelle frequenti feste a base di pesce fritto e nostralino.
Ma nel 1968 Fontana muore avendo fino all’ultimo lavorato ferocemente, quasi con rabbia: Albisola, che lo aveva insignito della cittadinanza onoraria e della Rosa d’oro,e il mondo dell’arte restano orfani di un uomo di esuberante vitalità, di un artista che ha provato la gioia dello slancio inventivo senza freni, che ha anticipato quanto sarà sviluppato dalla generazione seguente: dal pensare all’agire.
Carla Bracco
Associazione Lino Berzoini, Savona